3.       L'analisi fatta da Stankiewicz e da Erlebach delle tre diverse impostazioni della giurisprudenza rotale riguardo alla conformità equivalente

Montini segnala che la DC ha voluto dare una nozione propria del concetto di conformità equivalente: di conseguenza, secondo lui, occorre fare «una reale distinzione tra la giurisprudenza rotale e la normativa dell'istruzione». Tale normativa è quella che deve essere applicata; la giurisprudenza rotale conserva il suo proprio valore e, «quando è comune e costante, ha una propria collocazione di riferimento» [1]. Condivido il fatto che sia necessario distinguere la normativa della DC dall'insegnamento della giurisprudenza rotale. Nello stesso tempo, è evidente che l'intera normativa della DC riguardo alla conformità delle sentenze (sia quella formale che quella equivalente) ha la sua origine immediata nella giurisprudenza della Rota Romana, accolta dalla Segnatura Apostolica dopo un prolungato rifiuto. L'origine remota si trova, come abbiamo segnalato, nel diritto romano e dei decretalisti classici. Montini, oltre a questa indiscutibile affermazione, fa riferimento all'influsso della giurisprudenza rotale sui cambiamenti verificatisi nel testo promulgato della DC rispetto a quello che solitamente viene chiamato Schema recognitum del 2000 [2].

Perciò, al fine di approfondire in maniera efficace il significato della norma della DC, occorre esaminare le principali posizioni sostenute dalla Rota Romana riguardo alla conformità equivalente tra due decisioni nelle cause di nullità del matrimonio. Come ho già segnalato (vide supra § 1.3), intendo richiamarmi, in sintesi, allo studio realizzato da Grzegorz Erlebach, nel quale, a sua volta, egli fa sua ed affina la concettualizzazione proposta da Stankiewicz [3], anche se sono ben cosciente di incorrere nel pericolo di forzare i loro argomenti per giustificare la mia posizione. Nel riferire lo studio di Erlebach farò alcune glosse. In seguito (vide infra §§ 4-6) proporrò un'interpretazione organica dell'impostazione della giurisprudenza della Rota Romana che (oltre alla "prima") ritengo compatibile con l'art. 291 § 2 della DC.

Preliminarmente, Erlebach fa riferimento al rifiuto assoluto del concetto di conformità equivalente sostenuto, tra gli altri, da Pinna. Questa posizione, che penso non esista più in seno all'odierna giurisprudenza rotale, era radicalmente contraria a qualunque concetto di conformità che si allontanasse dall'identità formale tra ogni nomen iuris (ogni capo di nullità) attribuito dai tribunali di prima e di ulteriore istanza nella parte dispositiva della sentenza, applicando rigorosamente l'art. 218 § 2 della PME [4].

Erlebach constata che la legittimità della dichiarazione della conformità equivalente - sempre che ci siano alcuni presupposti - è stata ampiamente riconosciuta e, quindi, è prevalsa l'accettazione di questo istituto nella giurisprudenza del Tribunale apostolico. Tuttavia, le decisioni rotali divergono notevolmente quando enumerano le condizioni necessarie per l'accettazione della conformità equivalente in modo equitativamente compatibile con i cann. 1641 n. 1 e 1677 § 3.

Presupposto dei tre diversi modi di capire cosa si intenda quando si parla di conformità equivalente, è il concetto di "fatti principali" che, in riferimento alle cause di nullità del matrimonio, significano, secondo una sentenza coram Pinto Gómez, «quei fatti che causano in concreto la nullità del matrimonio» [5]. Tali fatti si distinguono dai "fatti secondari", chiamati anche "storici" (quantunque io preferisca chiamarli "secondari"), vale a dire da quei fatti che si accompagnano ai fatti principali e fanno parte della "biografia" (utilizzando un'espressione che ricorre con frequenza negli studi di Viladrich) di ciascuno dei coniugi e delle vicende del fidanzamento e del matrimonio, ma non incidono direttamente sulla validità o la nullità del consenso, poiché non costituiscono un quid in grado di invalidare di per sé il matrimonio, sebbene possano possedere una notevole rilevanza sul piano della prova. L'uso singolare o plurale del termine "fatti principali" dipende dalla circostanza che la nullità sia univocamente attribuita dalla legge ad un fatto singolare (per esempio, alla volontà di un coniuge di escludere un certo elemento essenziale al matrimonio) o, piuttosto, ad un insieme di fatti, quando la nullità del consenso è dovuta al confluire (alla sinergia) di una serie di circostanze diverse, come nel caso dell'errore doloso del can. 1098, o della violenza o timore ex can. 1103. Inoltre, può darsi il caso che dalle parti (l'attore in caso di cumulo di domande, il convenuto in caso di domanda riconvenzionale) siano invocati più fatti principali oggettivamente diversi, e non riconducibili in alcun modo gli uni agli altri.

Come abbiamo già detto, Erlebach espone che esistono tre diverse modalità con cui la giurisprudenza rotale intende il fondamento necessario della conformità equivalente. Queste tre modalità vengono descritte come una apertura graduale dalla minore alla maggiore, partendo (in senso logico, non cronologico) dalla negazione assoluta sostenuta da Pinna, che è, per così dire, di grado zero. Occorre anche tener presente che per Erlebach la conformità equivalente è possibile soltanto tra decisioni in favore della nullità del matrimonio, e non tra le cosiddette sentenze pro vinculo [6], pur se la giurisprudenza rotale e la dottrina non sono unanimi a questo proposito [7].

3.1.    Il primo grado di apertura verso la conformità equivalente

Il primo grado di apertura consiste nel "recupero" della conformità equivalente (piuttosto che "sostanziale" [8]) già prevista dall'ordinamento canonico classico e "persa" con l'identificazione tra la causa petendi e il caput nullitatis operata dall'art. 218 § 2 della PME [9]. Applicando il concetto classico di conformità alle cause di nullità del matrimonio, sono conformi in modo equivalente le decisioni fondate su uno stesso o su più stessi fatti principali, facendo uso nel senso più stretto della identità tra questi fatti, ancorché sussunti in capi di nullità diversi. Ciò vale a dire che tali capi di nullità sono diversi soltanto formalmente, rispondono soltanto ad un nomen iuris differente, ma manifestano lo stesso fatto principale, che Erlebach - seguendo la dottrina classica nella formulazione di Stankiewicz nel citato decreto del 1994 - identifica con la causa petendi: «non esiste conformità tra sentenze che vertano su capi di nullità che non costituiscono una stessa causa petendi (...). Tuttavia, tale conformità è possibile se quella causa petendi risponde ad un fatto giuridico principale che ammette una doppia qualificazione giuridica, un doppio nomen iuris» [10].

Erlebach segnala che, a parte questo decreto coram Stankiewicz ed un altro coram Erlebach del 14 dicembre 2006 in una causa Panormitana [11], esistono soltanto altri due decreti (del 1971 e del 2003) e nessuna sentenza in cui, esplicitamente, sia considerata in questo modo la conformità equivalente. Inoltre, in ognuno dei citati quattro casi si nega che esista la conformità equivalente [12]. Successivamente alla redazione dello studio di Erlebach (settembre 2007), per quanto mi risulta, è stato pronunciato un altro decreto che, senza citare la DC né il decreto coram Stankiewicz del 1994, aderisce a questa prima posizione: «uno stesso fatto che ammette una diversa qualificazione giuridica» [13].

Secondo Erlebach, questa prima posizione giurisprudenziale sulla conformità equivalente, la più restrittiva, è l'unica accolta dalla DC nell'art. 291 § 2. Lo dimostrerebbe (pur se Erlebach non ha ritenuto opportuno segnalarlo) la modifica introdotta nel testo promulgato di questo articolo rispetto allo Schema Recognitum 2000, modifica con cui sarebbe appunto stata accolta l'interpretazione di Stankiewicz, membro della Commissione interdicasteriale che ha redatto la versione definitiva. Infatti, al «super iisdem factis» del progetto del 2000, il progetto del 2004, successivamente promulgato, ha aggiunto «super iisdem factis "matrimonium irritantibus"». Ma come vedremo (vide infra § 5), questa specificazione, oltre che alla "prima" posizione giurisprudenziale, può essere applicata anche alla "seconda".

In primo luogo, Erlebach, sempre in linea con i due testi di Stankiewicz, segnala tre casi in cui si verifica questa duplicità legale di nomen iuris rispetto a una stessa causa petendi: 1) l'errore che determina la volontà circa l'indissolubilità del matrimonio (can. 1099) e l'esclusione dell'indissolubilità con un atto positivo della volontà (can. 1101 § 2); 2) la simulazione totale e l'esclusione della dignità sacramentale del matrimonio, poiché tale esclusione viene ritenuta essa pure una simulazione totale; 3) il caso di un matrimonio contratto ad tempus (per esempio, per tre mesi), che può essere considerato nullo per ignoranza del fatto «che il matrimonio è un consorzio permanente» (can. 1096 § 2) o per il fatto che sia stato escluso con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso o la sua indissolubilità (can. 1101 § 2) [14].

In secondo luogo, Erlebach prende in considerazione un numero abbastanza elevato di decisioni rotali in cui viene applicato di fatto, ma in modo implicito, questo stesso concetto di conformità equivalente ad altre quattro "coppie" di capita nullitatis (Stankiewicz segnala esplicitamente soltanto le prime tre, le quali fanno riferimento al can. 1095): 1) l'amenza (can. 1095 n. 1) ed il difetto di discrezione di giudizio (can. 1095 n. 2); 2) la mancanza di sufficiente uso di ragione (can. 1095 n. 1) ed il difetto di discrezione di giudizio (can. 1095 n. 2); 3) il difetto di discrezione di giudizio (can. 1095 n. 2) ed il difetto di libertà interna, quando questo è considerato un capo autonomo di nullità; 4) la simulazione totale del consenso ed ognuna delle simulazioni parziali ex can. 1101 § 2, in quanto in quella totale avviene la "continenza" di ognuna di quelle parziali, vale a dire che le "contiene", anche se Erlebach ritiene che questa impostazione della dottrina e della giurisprudenza sia discutibile [15]. Queste manifestazioni di conformità equivalente non costituiscono un numerus clausus nell'impostazione di Erlebach.

Per quanto riguarda l'aspetto probatorio, vale a dire i fatti secondari, questa prima impostazione giurisprudenziale logicamente esige che in entrambe le istanze sia stato provato l'unico fatto principale che fonda i due capi di nullità. Si richiede anche, secondo il decreto coram Stankiewicz del 1994, che entrambe le sentenze riconoscano espressamente che sia stato provato il capo alternativo [16]. Tuttavia, Erlebach riconosce che questa esigenza difficilmente può assurgere a regola generale, poiché (come è evidente) renderebbe praticamente impossibile l'applicazione del concetto di conformità equivalente. Inoltre, Erlebach ritiene "sintomatica" l'osservazione di Huber (ponente del decreto del 2003 che, secondo Erlebach, sosterrebbe "la prima" posizione), il quale dopo l'esposizione delle diverse tendenze rotali riguardo alla conformità equivalente, osserva prudentemente che «il problema sta nello stabilire il concetto di fatto giuridico [principale]» [17].

3.2.    Il secondo grado di apertura verso la conformità equivalente

Il secondo grado di apertura della giurisprudenza verso la conformità equivalente (tra i cui sostenitori a livello dottrinale Erlebach, a ragione, mi include) ammette che rientrino in questo istituto anche casi in cui non si verifica una "esatta identità" del fatto principale posto a base delle due decisioni [18]. Nelle sentenze in cui si manifesta questo grado di apertura, si afferma che in certi casi il fatto principale considerato provato in una istanza non è necessariamente identico a quello provato in un'altra istanza successiva, ma tuttavia tra i due fatti esiste un elemento comune che li rende sostanzialmente convergenti e (come già ho accennato supra e proporrò ai §§ 4-6) consente di parlare, a proposito di entrambi questi fatti principali, di un "minimo comune denominatore". Tale «reciproco coordinamento dei fatti costitutivi resi fondamento della dichiarazione di nullità del matrimonio» basta, secondo questa impostazione, ad adempiere il requisito normativo dell'identità - nel senso appunto di "convergenza" - dell'uno e dell'altro fatto principale, come cercherò di spiegare meglio più avanti [19]. Si tratta di fatti principali che permettono ad un tribunale, prendendo in considerazione i fatti secondari (si potrebbe precisare), di considerare nullo un dato matrimonio in base ad un determinato caput nullitatis e a un secondo tribunale in base a un altro caput nullitatis, evidentemente, glossando di nuovo Erlebach, perché il secondo tribunale non ha condiviso la certezza morale del primo relativamente al capo di nullità sulla cui base questo ha dichiarato nullo il matrimonio stesso. Erlebach fa riferimento a uno degli esempi tipici di questa impostazione: la nullità del matrimonio di chi, essendo sottoposto a pressioni da parte dei genitori perché si sposi, accetta il matrimonio ponendo però una riserva contro la stabilità della futura vita coniugale. In questo caso è possibile che un primo tribunale riconosca la nullità del consenso ob vim vel metum, mentre un altro ritenga che la coactio non sia stata sufficientemente grave da causare la nullità a norma del can. 1103 e, tuttavia, ritenga irritante l'esclusione ipotetica dell'indissolubilità, a causa della profonda disapprovazione del nubente nei confronti della pressione subita, considerando provata sia la pressione, solo quale causa nubendi, sia la resistenza a tale pressione, quale causa simulandi. Erlebach sottolinea, giustamente, che non si ha a che fare in questo caso con uno stesso fatto principale. Ciò malgrado si potrebbe dire che esiste tra i due fatti, anche se questa espressione sembra suonare a prima vista contraddittoria, una identità "parziale" o, con parole di Stankiewicz, "equivalente" [20].

Gli esempi di sentenze pronunciate per capi di nullità diversi, suscettibili di dare luogo alla conformità equivalente secondo questa impostazione, sono parecchi. Ma questa seconda posizione giurisprudenziale (insisto) non permette che, dinanzi a qualunque doppia decisione relativa alla nullità di un matrimonio, si possa affermare aprioristicamente che si ha a che fare con due decisioni equivalentemente conformi, neppure se tali decisioni riguardino vizi o difetti del consenso imputabili allo stesso coniuge.

Secondo Erlebach appartengono a questa seconda impostazione (senza voler stabilire neanche in questa occasione un numerus clausus) decisioni che hanno dichiarato la conformità equivalente sulla base dei seguenti capi di nullità del matrimonio, oltre beninteso a quelli già considerati nel primo gruppo: 1) la simulazione ed il timore, 2) la simulazione e l'incapacità psichica, 3) il timore e l'incapacità psichica (in particolare il difetto di discrezione di giudizio per mancanza di libertà interna), 4) la simulazione e la condizione, 5) l'errore e il dolo.

Erlebach afferma che questa seconda posizione, pur invocando un'identità sostanziale dei fatti principali ossia delle causae petendi, in realtà ammette una conformità equivalente soltanto "parziale", poiché ciò che vi è in comune nelle due rispettive fattispecie non basta a giustificare, logicamente con certezza morale, la pronuncia della nullità né in base all'uno né all'altro capo di nullità. Questa conformità "parziale" viene chiamata da Erlebach anche con altri aggettivi incisivi: conformità "relativa", a causa della "correlazione" (oggettiva, non "relativizzante" o puramente soggettiva, preciso io) di entrambi i capi di nullità; conformità "cumulativa" o "convergente", ponendo attenzione agli elementi di fatto comuni, affermati in entrambe le decisioni e confluenti al fine di dichiarare provato l'uno oppure l'altro capo di nullità.

Erlebach conclude constatando la notevole differenza esistente tra la prima e la seconda posizione.

3.3.    Il terzo grado di apertura verso la conformità equivalente

Erlebach reputa che la terza posizione della giurisprudenza circa la conformità equivalente sia una logica evoluzione della seconda impostazione, pur se tale evoluzione è puramente astratta in quanto non risponde ad una reale successione della terza posizione rispetto alla seconda. Partendo dal punto di vista di questa terza impostazione, al fine di poter decretare la conformità equivalente basta che entrambe le decisioni siano basate sugli stessi fatti secondari. Seguendo Stankiewicz egli sottolinea la profonda differenza di questa terza posizione rispetto alla prima. Nella terza, i fatti identici sono semplici fatti secondari [21]. Questa identità, mi permetto di glossare, è anche ontologicamente diversa da quella richiesta dalla seconda posizione, a causa del carattere assolutamente generico della terza posizione. Invero, l'identità dei fatti in questo caso deriva dalla semplice affermazione che tali fatti hanno permesso la dichiarazione della nullità del matrimonio a due tribunali diversi, basandosi entrambi su vizi o difetti del consenso imputabili allo stesso coniuge [22], senza che il secondo tribunale abbia dimostrato nella motivazione della sentenza l'esistenza di due fatti principali che, pur essendo diversi tra loro, possiedono il cosiddetto "comune denominatore" che li lega concretamente l'un l'altro.

Questa posizione giurisprudenziale non soltanto incide a livello puramente teorico sul concetto di conformità (formale o equivalente), ma presenta anche incisive conseguenze pratiche, riconducibili in alcuni casi al favor nullitatis matrimonii [23], dal momento che permette questa "universalizzante" conformità equivalente tra qualunque decisione riferita ad un vizio o difetto del consenso dello stesso coniuge [24], escludendo unicamente le nullità motivate da un impedimento o dal difetto di forma. Infatti, è evidente che, trattandosi dello stesso coniuge, qualunque vizio o difetto del suo consenso presupporrà quasi necessariamente l'esistenza di fatti secondari analoghi e perfino identici. Nello stesso tempo, Erlebach segnala, anche se lo afferma en passant, che su questa terza impostazione del concetto di conformità equivalente incide di frequente una visione pseudo "personalistica" o pseudo "pastoralistica" del matrimonio e delle cause di nullità del matrimonio, che facilmente identifica il fallimento "esistenziale" con la nullità [25]. Al tribunale (almeno di terza istanza) che giudica circa la conformità equivalente sancita da un tribunale inferiore (almeno di seconda istanza e che abbia agito in ossequio alla richiamata impostazione pseudo-pastoralistica), potrebbero arrivare alcune sentenze dichiarate conformi, ma nelle quali, forse, non risulterebbe sufficientemente provata la nullità del matrimonio per nessuno dei due capi, malgrado la doppia sentenza equivalentemente conforme pro nullitate matrimonii [26]. Il tribunale che deve decidere il ricorso contro la conformità equivalente dichiarata da un detto tribunale inferiore pseudo-pastoralista, e che, nell'esaminare le due decisioni, perviene con certezza morale a giudicare che quelle sentenze hanno dichiarato ingiustamente nullo il matrimonio [27], riformando la seconda sentenza in punto a detta conformità, potrà giudicare la causa in via di appello ordinario (almeno in terza istanza e dopo l'appello presentato dalla parte attrice: «nemo iudex sine actore»), senza che ci sia bisogno che il coniuge parte convenuta o il difensore del vincolo chiedano il novum examen contro la seconda sentenza dichiarata equivalentemente conforme alla prima.

Questa terza posizione solitamente afferma l'identità dei fatti secondari (i quali sono stati usati per affermare la fondatezza dei diversi fatti principali, vale a dire delle diverse causae petendi), con un'espressione puramente rituale: "come è provato nella causa", senza fare un'adeguata valutazione e ponderazione, nella motivazione della sentenza, delle prove sulle quali il tribunale fonda la propria certezza morale circa la nullità del matrimonio [28]. In ogni caso, questa terza posizione della giurisprudenza rotale comprende posizioni molto eterogenee, che rendono difficile una sua precisa classificazione [29].

3.4.    Puntualizzazioni di Erlebach riguardo alle tre posizioni giurisprudenziali

Alla spiegazione delle tre posizioni, Erlebach aggiunge altre puntualizzazioni. In primo luogo, segnala che queste tre posizioni non sono tappe di un'evoluzione giurisprudenziale omogenea, ma piuttosto manifestano una dialettica emersa nella Rota prima del Concilio Vaticano II, che è venuta in particolare evidenza nel periodo tra il Concilio e la promulgazione del Codice. Le decisioni coram Pinto Gómez, il decreto coram Stankiewicz del 22 marzo 1994 (precedenti alla DC) ed il decreto coram Erlebach del 14 dicembre 2006 rappresentano tentativi di contenere la diffusione della dichiarazione di conformità equivalente nelle decisioni della Rota Romana, in particolare in quelle che fanno capo alla terza posizione, i cui rappresentanti, con una certa frequenza, procedono a un'applicazione talvolta eccessiva del citato "personalismo" o "pastoralismo" [30].

D'altra parte, Erlebach (seguendo altri autori, in particolare Villeggiante [31]) dà speciale importanza alla potestà del giudice di fissare nella formula del dubbio il nomen iuris della causa (partendo dai fatti presentati nella domanda dell'attore e nella risposta della parte convenuta), al fine di distinguere il concetto di causa petendi da quello di caput nullitatis, e conseguentemente all'incidenza che questo potere riveste in rapporto alla nozione di conformità equivalente. Infatti, partendo dalla giurisprudenza che afferma tale potestà del giudice, altre sentenze insistono sulla distinzione tra l'indicazione della causa petendi (che spetta esclusivamente ai coniugi, salvi i casi eccezionali in cui può essere attore il promotore di giustizia: DC art. 92 n. 2) e la determinazione del capo o dei capi di nullità (che spetta al giudice, in particolare, quando i coniugi si limitano ad apportare i fatti principali senza un'adeguata qualificazione giuridica). Per esempio, un decreto coram Raad (23 giugno 1973) afferma che «la causa petendi è un concetto più ampio rispetto a quello di capo di nullità» [32]. Erlebach critica questa impostazione che, tuttavia, si trova in nuce nella dottrina decretalista [33]. Erlebach accetta la distinzione di Raad tra una causa petendi proxima ed un'altra remota. La remota sarebbe costituita dai fatti principali, la prossima dal capo di nullità (il nomen iuris). Ma poiché il riferimento testuale alla causa petendi del vigente can. 1641 n. 1 non esisteva quando Raad teorizzò questa distinzione (1973) - infatti, il CIC 1917 non stabiliva in cosa consistesse la conformità tra due sentenze (can. 1902) e la PME, intenzionalmente, non faceva uso dell'espressione causa petendi ma di caput nullitatis (art. 218 § 2) - il riferimento che il can. 1641 n. 1 fa alla causa petendi (e la sua "traduzione" in capita nullitatis del can. 1677 § 3 nell'applicazione della legge generale alle cause di nullità del matrimonio) impedirebbe l'efficacia della distinzione giurisprudenziale tra causa petendi proxima e remota. Di conseguenza, verrebbe a mancare uno dei pilastri sui quali si fonda la seconda posizione della giurisprudenza della Rota Romana circa la conformità equivalente, sicché la disposizione dell'art. 291 § 2 della DC ammetterebbe soltanto la prima delle tre impostazioni: la più restrittiva [34].

Infine, Erlebach - quando segnala che la conformità equivalente implica un "quid minus" rispetto alla conformità formale - considera questa relaxatio una manifestazione di "benignitas" giurisprudenziale al fine di facilitare la tempestiva soluzione dei problemi pastorali dei coniugi il cui matrimonio è fallito, che desiderano celebrare un nuovo matrimonio coram Ecclesia, una volta ottenuta la dichiarazione esecutiva della nullità del matrimonio, che richiede la doppia sentenza conforme pro nullitate matrimonii, eccetto nel processo documentale [35].

È evidente che la conformità equivalente è un "quid minus" rispetto alla conformità formale. In caso contrario, sarebbe privo di senso tutto il lavoro giurisprudenziale, dottrinale e legislativo che si sforza di applicare l'istituto della conformità equivalente con la moderazione suggerita dall'aequitas canonica. Tuttavia, è necessario notare che l'obbligo della doppia sentenza conforme pro nullitate matrimonii non ha lo scopo di porre un ostacolo alla celebrazione di un nuovo matrimonio, ma piuttosto quello di proteggere meglio l'indissolubilità e la certezza sulla giustizia della dichiarazione della nullità del matrimonio. Allo stesso tempo, come dimostrano la giurisprudenza della Rota Romana e l'art. 291 § 2 della DC, l'aequitas canonica considera formalista la pretesa di mantenere la conformità formale come unico modo di adempiere l'obbligo della doppia sentenza conforme. La conformità equivalente mira ad armonizzare il mantenimento dell'obbligo della doppia sentenza conforme - senza rinunciare ad essa, come invece hanno fatto le citate Norme processuali per gli USA del 1970 (art. 23 § 2) e come era previsto nel Novissimum schema del 2002 della DC (art. 43 § 2) [36] - e, nel contempo, a correggere questa eventuale manifestazione di formalismo del sistema; quindi, più che un "quid minus" si tratta di un "quid iustius". Infatti, il parametro della giustizia è determinato dalla verità e dai mezzi più adeguati per pervenire al suo accertamento nel minor tempo possibile. A questo proposito vale la pena meditare con assiduità alcuni Discorsi dei Pontefici alla Rota Romana: quelli di Pio XII del 1942 e del 1944, quelli di Paolo VI del 1965 e del 1978 [37], quelli di Giovanni Paolo II del 1994, 1995, 1999 o del 2004, e quelli di Benedetto XVI del 2006 e del 2007.

3.5.    Significato dell'art. 291 § 2 della DC nell'impostazione giurisprudenziale più restrittiva circa la conformità equivalente

Da quanto si è considerato finora è facile dedurre la conclusione di Erlebach circa i requisiti stabiliti dall'art. 291 § 2 con lo scopo di fare un legittimo uso dell'istituto della conformità equivalente: occorre l'identità vera e propria ("totale") del fatto o dei fatti principali, vale a dire di quello o quelli che rendono nullo il matrimonio. In realtà, a mio parere, ciò che la DC non accetta è la terza posizione giurisprudenziale, la quale si accontenta di un'identità materiale dei fatti secondari di entrambe le decisioni, senza che il tribunale che dichiara la conformità equivalente debba esaminare e giustificare nella motivazione se i fatti principali in base ai quali ogni tribunale ha dettato la sua sentenza possiedano un'identità almeno equivalente (ciò che abbiamo chiamato "minimo comune denominatore"). Ma neppure quest'ultima impostazione, che si riporta alla "seconda" posizione giurisprudenziale, è compatibile, a parere di Erlebach, con l'art. 291 § 2 della DC. Anche se la seconda impostazione, infatti, afferma la necessità di motivare l'accertamento dell'equivalenza dei fatti principali, essa in realtà ammette che tale equivalenza non sia ridotta a quei soli casi di identità vera e propria o "totale" ai quali ho appena fatto cenno. Di conseguenza, benché spesso la dottrina non faccia allusione a questa restrizione operata dalla DC [38], l'Istruzione, secondo Erlebach, accetta soltanto la prima delle impostazioni giurisprudenziali descritte, come dimostra la specificazione introdotta nel quarto schema (del 2004) ed accolta nel testo promulgato: «super iisdem factis "matrimonium irritantibus"».

Erlebach giunge a questa conclusione senza la necessità di considerare il secondo elemento richiesto dalla DC per la conformità equivalente: che entrambe le decisioni «super iisdem probationibus nitantur». Infatti, egli esamina l'identità delle prove separatamente dagli «iisdem factis matrimonium irritantibus», come due condizioni autonome. Poiché il concetto di prova è polivalente, e non esiste una dottrina giurisprudenziale circa la nozione d'identità delle prove, occorre adottare una prudente posizione equidistante tra posizioni estreme. Perciò Erlebach, seguendo Stankiewicz, ritiene che i requisiti richiesti dalla DC restino soddisfatti quando le prove sono sostanzialmente le stesse, senza che la realizzazione di un supplemento istruttorio impedisca la dichiarazione della conformità equivalente, sempre che le nuove prove non svuotino di contenuto quelle precedenti. Ciò vale a dire che sussistono i detti requisiti quando le nuove prove confermano quelle precedenti, rendendo più solida la certezza morale del secondo tribunale [39].

Erlebach aggiunge un'altra considerazione che, a mio parere, "getta un ponte" tra la prima e la seconda posizione giurisprudenziale. Infatti, volendo rispettare il concetto sostanziale d'identità delle prove, afferma che non sarà necessario che la motivazione di entrambe le decisioni articoli allo stesso modo l'esame delle prove che conduce ogni tribunale alla certezza morale circa la decisione giusta da prendere. La possibilità di questa diversa motivazione deve essere ammessa, perché ogni capo di nullità è solito possedere, nella prassi giurisprudenziale, uno schema probatorio proprio, compatibile con il principio del libero apprezzamento delle prove riconosciuto ad ogni giudice (cfr. can. 1608 § 3; DC art. 247 § 4). Quindi, al fine di poter dichiarare la conformità equivalente, secondo la prima posizione giurisprudenziale sono legittime le valutazioni diverse da parte di ciascun tribunale di ciascuno degli elementi di prova, perché tale diversità fa parte delle facoltà attribuite al giudice dal principio della libera valutazione delle prove [40]. Questo riconoscimento dell'importanza della motivazione, unitamente ad altre ragioni (vide infra §§ 4-6), implica, a mio parere, che la DC accetta anche la seconda impostazione giurisprudenziale circa la conformità equivalente, quando proprio la motivazione permetta di individuare questa sostanziale coincidenza tra i fatti principali.

4.       L'influsso del riferimento alla motivazione della sentenza nel § 1 dell'art. 291 sul significato dei requisiti stabiliti dal § 2 in ordine alla conformità equivalente

Montini suggerisce che il primo paragrafo dell'art. 291 abbia natura propedeutica riguardo ai paragrafi secondo e terzo perché vuole rendere più facile la tipizzazione e la comprensione della conformità equivalente [41]. Senza esaminare nel dettaglio questa tesi, è evidente, in effetti, il valore ermeneutico del § 1 rispetto al § 2. Lo studio del § 1 porta Montini alla stessa conclusione di Erlebach: il § 2 è compatibile soltanto con "la prima" posizione giurisprudenziale, la più stretta. Tuttavia, a mio parere, la disposizione del § 1 favorisce l'inserimento anche della seconda posizione giurisprudenziale nel concetto di conformità equivalente fatto proprio dalla DC.

Montini mette in evidenza due aspetti del § 1 che incidono sul concetto della conformità equivalente. In primo luogo, segnala che l'espressione «eadem causa petendi» del can. 1641 n. 1 si trasforma in «eodem capite nullitatis» nell'art. 291 § 1. Questa trasformazione verrebbe a manifestare l'identità di entrambi i concetti e, di conseguenza, il rifiuto da parte della DC della possibilità che due causae petendi, due fatti principali diversi [42], possano comportare la dichiarazione di conformità equivalente di due sentenze, il che indurrebbe a negare la possibilità d'includere la seconda posizione giurisprudenziale nell'art. 291 della DC, con un ragionamento analogo a quello fatto da Erlebach quando rifiuta la distinzione di Raad tra causa petendi proxima e remota [43].

Come abbiamo segnalato, affinché possa sussistere la conformità equivalente, la seconda impostazione richiede l'esistenza di una convergenza, di un "minimo comune denominatore" fra i fatti principali, non un'identità vera e propria. Tuttavia, in realtà, come lo stesso Montini suggerisce, la DC non modifica il can. 1641 n. 1. Il can. 1677 § 3, essendo specifico delle cause di nullità del matrimonio, usa già l'espressione "capo di nullità", invece di causa petendi, per illustrare il concetto di conformità (formale) tra due sentenze nelle cause di nullità del matrimonio, come conseguenza dell'obbligo di congruenza tra la formula del dubbio e la decisione, e del principio per cui la legge speciale prevale su quella generale (VIº Regula iuris 34: «Generi per speciem derogatur»; cfr. can. 1691). In ogni caso, l'uso di "caput nullitatis", invece di "causa petendi", che fanno il § 1 dell'art. 291 e il § 3 dell'art. 289, non sembra far riferimento alla questione relativa al chiarire se la causa petendi equivalga o meno ai fatti principali (che possono essere fatti valere soltanto dalle parti), i quali dovranno essere qualificati dal giudice con uno o più nomina iuris, col riferimento a uno o più capi di nullità. Piuttosto l'espressione "caput nullitatis" è connessa al citato can. 1677 § 3, al quale rimanda in effetti la DC quando, nell'art. 135 § 3, fa riferimento al contenuto del decreto di formulazione del dubbio. Tale corrispondenza tra la formula del dubbio e la sentenza è facilmente giustificata dall'esigenza della congruenza della decisione con l'oggetto fissato nella formula del dubbio [44], dall'esplicito divieto della violazione del principio ne bis in idem (art. 289 § 3) e dalla nozione di conformità formale alla quale fa riferimento il § 1 dell'art. 291.

Il secondo aspetto del § 1 dell'art. 291 su cui Montini si sofferma è l'espressione «eademque iuris et facti ratione». Si tratta di un evidente riferimento alla motivazione della sentenza: «rationes seu motiva, tam in iure quam in facto, quibus dispositiva sententiae pars innititur» (can. 1611 n. 3; cfr. cann. 1612 § 3 e DC artt. 249 § 2, 250 n. 2, 253 § 3, 254 § 1) [45]. A prescindere dalla questione se il § 1 dell'art. 291 esaurisca o meno la sua funzione nello scopo di "preparare il terreno" alla conformità equivalente, è evidente che il § 1 stabilisce che la diversità sostanziale della motivazione di due sentenze dettate per lo stesso capo di nullità può comportare la loro non conformità, non equivalente (poiché esse mancherebbero del presupposto di avere diversi nomina iuris), ma formale. Perciò, a fortiori, il ricorso alla motivazione di due decisioni prese in riferimento a capi di nullità diversi può essere decisivo per valutare oggettivamente, superando impostazioni puramente soggettive, se esiste o meno una sufficiente convergenza tra i due fatti principali (e anche tra quelli secondari) [46].

Per Montini, l'incidenza della motivazione (prevista nel § 1) sulla conformità equivalente del § 2 rafforza uno dei requisiti esigiti dalla prima posizione della giurisprudenza rotale (vide supra § 3.5): gli «eadem facta» dell'art. 291 § 2 non solo devono esserlo considerati in se stessi, ma devono coincidere «in quanto rappresentati [formulati] nella [motivazione della] decisione giudiziale, assunti e valutati dalla [motivazione della] decisione giudiziale» [47]. Di conseguenza, Montini manifesta la sua convinzione che l'art. 291 § 2, con le sue clausole restrittive, ha accettato soltanto la posizione più restrittiva della giurisprudenza rotale circa la conformità equivalente (di cui, attualmente, Stankiewicz e Erlebach sono i principali rappresentanti, mentre nella Rota della Nunziatura Apostolica in Spagna lo è Morán [48]), con l'ulteriore condizione delimitante proposta da lui stesso [49].

Tuttavia, come ho segnalato in questo studio, l'importanza della motivazione della sentenza affinché la decisione circa la conformità equivalente abbia la rationabilitas che caratterizza la giustizia, delle leggi ma anche delle sentenze - come fu segnalato dalla famosa sentenza coram Felici [50], fondamento della disposizione del § 1 -, permette d'includere l'interpretazione giurisprudenziale intermedia (la "seconda" posizione) nel concetto di conformità equivalente fatto proprio dalla DC. In realtà, lo stesso Montini sembra riconoscerlo quando afferma che «la conformità equivalente è una "res facti". Con questa asserzione (...) si intende piuttosto mettere in evidenza che la conformità equivalente va decretata in base alla rilevazione delle concrete motivazioni (facta et probationes) che le pronunce giudiziali hanno espresso nel testo. Non è ricerca fruttuosa quella che intenderebbe a priori escludere la conformità equivalente in determinate coppie di sentenze o per l'incompatibilità dei capi di nullità delle medesime o a causa di altri elementi assunti a prescindere dalla concretissima analisi delle motivazioni delle decisioni» [51]. Perciò, egli conclude che «tale posizione più stretta della giurisprudenza rotale non comprende solo il caso in cui i medesimi fatti, su cui si fondano le decisioni, sono passibili di "nomina iuris" diversi, ma pure il caso in cui di fatto le decisioni legittimamente riconoscano provati i medesimi fatti che costituiscono un capo di nullità matrimoniale» [52].

5.       La "identità equivalente" dei fatti principali: armonia tra l'art. 291 e la "seconda" posizione giurisprudenziale circa la conformità equivalente

L'attuale Decano della Rota Romana segnala che la seconda posizione richiede una identità dei fatti principali intesa solo in modo relativo o "equivalente" [53]. Tuttavia, questa relatività presuppone una reale convergenza, vale a dire un nesso causale tra i fatti principali giudicati dalle due sentenze. Tale nesso può esistere, per esempio, tra le diverse forme di simulazione ed il metus in quanto causa simulandi; tra la simulazione e l'incapacità psichica, poiché l'anomalia della psiche del simulatore (dotato tuttavia di una sufficiente benché non ottimale discretio iudicii) come causa della simulazione può essere difficilmente differenziata, talvolta, da alcuni tipi d'incapacità. Il pensiero di questa seconda posizione giurisprudenziale è che la convergenza avviene anche quando un fatto principale fa parte di una fattispecie più generale e, quindi, "uti species continetur in genere". Perciò, secondo i criteri adottati da questa impostazione giurisprudenziale, la conformità è ammessa, per esempio, quando la seconda sentenza dichiara nullo il matrimonio in base alla simulazione ma, nello stesso tempo, riconosce provata la violenza morale, causa possibile del il metus sul quale la sentenza di prima istanza è stata affermativa. Tuttavia, viene negata la conformità quando, ad esempio, la seconda sentenza dichiara la nullità in base all'esclusione dell'indissolubilità ma non riconosce provata la simulazione totale decisa «pro nullitate» dalla sentenza precedente [54].

5.1.    Dalla conformità equivalente "decretalista" alla nuova conformità basata sulla "identità equivalente" dei fatti principali e tipizzata dalla giurisprudenza della Rota Romana successiva alla PME

È questa impostazione giurisprudenziale (la "seconda", nell'autorevole descrizione che ne fa Stankiewicz) compatibile con l'espressione «matrimonium irritantibus» dell'art. 291 § 2 della DC che, come abbiamo ricordato, è stata aggiunta dal progetto del 2004, e dal testo promulgato, al semplice «super iisdem factis» del progetto del 2000 per definire il concetto della conformità equivalente?

È evidente che la "prima" posizione adempie tutti i requisiti previsti dal testo dell'art. 291 § 2. Anzi, in realtà, la "prima" posizione coincide pienamente con quella conformità non formalista (non vincolata in modo assoluto al nomen iuris di ogni sentenza) che, proveniente del diritto romano, era stata accolta dalla dottrina decretalista classica dal secolo XIII (Ostiense e Durante) fino agli ultimi rappresentanti dello ius decretalium (Lega e Wernz), protagonisti della prima codificazione della Chiesa (1917).

Però, quando la giurisprudenza rotale della seconda metà del secolo XX sente il bisogno di superare la restrizione operata intenzionalmente dall'art. 218 § 2 della PME mediante l'identificazione della causa petendi con il caput nullitatis, si limita a recuperare la conformità equivalente nel senso classico o introduce in quel concetto un elemento innovativo richiesto dal bisogno di non prolungare il corso delle cause di nullità del matrimonio senza necessità, nel pieno rispetto dell'obbligo della doppia sentenza conforme pro nullitate matrimonii introdotta nel 1741 da Benedetto XIV e confermata dal CIC 1983 ed, infine, dalla DC? Una istruzione ex can. 34 potrebbe modificare la conformità formale sancita dal Codice ed introdurre la conformità equivalente senza seguire la giurisprudenza rotale prevalente?

La prima posizione giurisprudenziale (minoritaria) ed un qualificato settore dottrinale (anch'esso minoritario) [55] ritengono che la DC sia compatibile soltanto con la prima impostazione, la più restrittiva delle tre attualmente proposte.

Invece, a mio parere, anche la seconda posizione è arguibile dalla disposizione della DC. Infatti, uno dei più noti esponenti di questa seconda impostazione, Anné, ammette la possibilità di quella "identità equivalente" dei fatti principali, che permette la dichiarazione della conformità equivalente quando il secondo tribunale verifichi l'esistenza del "minimo comune denominatore" tra i fatti principali stessi [56]. Tale identità equivalente - o, come a volte ho detto in questo studio, "convergenza" - dei fatti principali, deve essere adeguatamente giustificata, ex actis et probatis (pure sulla base dei fatti secondari), nella motivazione della sentenza.

Lo stesso decreto coram Anné del 1974 accoglie la famosa avvertenza contenuta nel decreto coram Pinto Gómez (uno dei soli tre sostenitori della prima posizione, come subito vedremo) affinché i giudici rotali, nel costruire il concetto di conformità equivalente, non svuotassero di contenuto l'obbligo della doppia sentenza conforme, la dispensa dal quale era riservata al Papa [57]. Il decreto dichiarò la conformità equivalente tra due decisioni, per simulazione totale e per timore, in base alla convergenza dei fatti principali che avevano permesso ad ognuno dei due tribunali di dichiarare la nullità del matrimonio, convergenza che lo portò a ritenere (citando il Theatrum veritatis et iustitiae del Card. De Luca e lo Ius Canonicum di Pirhing) che tali fatti avevano una «identità equivalente» [58]. Vale a dire, il fattore rilevante è che la motivazione dimostri l'oggettivo "minimo comune denominatore", l'identità equivalente tra i fatti principali, non tra i capita nullitatis considerati astrattamente. Questi nomina iuris, che possono essere teoricamente incompatibili (per esempio, l'incapacità e la simulazione), possono tuttavia collegarsi a una stessa causa petendi, ai fatti principali prospettati dalle parti affinché il giudice decreti la formulazione del dubbio.

Poiché la valutazione che ogni tribunale fa dei fatti principali va rispettata, la diversità dei nomina iuris (salvo quando il tribunale sbaglia [59], o nei casi della riproduzione normativa di uno stesso caput nullitatis affermato dalla prima posizione) implica necessariamente (se le due sentenze sono davvero equivalentemente conformi) che il primo tribunale fondi la propria decisione su un determinato fatto principale e il secondo, invece, ne tenga conto piuttosto come di un fatto che è parte di una fattispecie più generale, così come è stato detto già sopra.

5.2.    La motivazione dell'identità equivalente dei fatti principali e della conformità equivalente

La principale questione che pone la "seconda" posizione giurisprudenziale (che sembra prevalente rispetto alla "prima" posizione [60], anche in ambito dottrinale, sebbene abitualmente manchi una espressa presa di posizione al riguardo [61]), non è tanto quella di identificare quali capi di nullità del matrimonio per vizi o difetti del consenso possono essere dichiarati equivalentemente conformi [62], ma quella invece di stabilire un modo corretto di procedere quando occorre analizzare l'esistenza o l'inesistenza della conformità, che deve essere verificata e dimostrata nella motivazione della decisione in cui è dichiarata la conformità equivalente in ogni singolo caso. Infatti, la necessità di motivare la decisione circa la conformità equivalente di due sentenze non è soltanto una questione di carattere formale ex cann. 1617 e 1622 n. 2 (DC artt. 261 e 272 n. 2) [63], ma costituisce un'esigenza logica che discende dalla stessa istituzione della conformità equivalente.

Di fatto, il decreto coram Huber del 2003, che Erlebach inserisce tra la giurisprudenza restrittiva della "prima" posizione [64], non cita il decreto coram Stankiewicz del 1994, ma un altro decreto del 1987 in cui il turno (forse contro il parere personale del ponente [65]) fece uso del concetto d'identità equivalente tra i fatti principali, tipico della "seconda" posizione, che portò a dichiarare conformi una sentenza per simulazione ed un'altra per incapacità [66]. Il decreto coram Huber, dopo aver affermato che la determinazione del concetto di fatto principale è problematica, sembra aderire alla "seconda" posizione, poiché mette l'accento sulla valutazione che di tale fatto compie ognuno dei due tribunali, senza escludere a priori la possibilità della conformità equivalente in base ai diversi capita nullitatis del caso esaminato: esclusione del bonum prolis e grave difetto di discrezione di giudizio [67]. Inoltre, esso sottolinea il principio giuridico secondo il quale l'identità dei fatti principali può essere equivalente, sempre che il tribunale analizzi questa conformità nella motivazione della decisione circa la conformità e non neghi la legittimità della prima sentenza pro nullitate matrimonii, sebbene non la confermi [68]. Ciò vale a dire che non si deve né si può esigere dal tribunale che si pronuncia circa la conformità equivalente, che esso confermi anche il capo deciso dal turno inferiore e dichiarato equivalentemente conforme con il secondo capo di nullità affermato per la prima volta dal secondo tribunale. In questo caso sarebbe necessaria simultaneamente la conformità formale e la conformità equivalente, annullando la ratio legis della conformità equivalente.

Nella motivazione della decisione che dichiara la conformità equivalente i fatti principali dovranno essere distinti da quelli secondari. Tuttavia, tale distinzione non può comportare la "non comunicazione" tra di essi, come se non esistesse nessun rapporto tra gli uni e gli altri. Infatti, le osservazioni di Stankiewicz e di Erlebach circa la diversità della struttura della motivazione di ogni caput nullitatis, secondo la prassi giurisprudenziale, manifestano simultaneamente la relazione e la distinzione tra i fatti che possono comportare la nullità del matrimonio (i fatti principali) e quegli altri che cercano di provarla (i fatti secondari) [69]. Per esempio, una recente decisione coram Boccafola - accettato il principio della possibilità della conformità equivalente in base alla convergenza dei fatti principali, il cui minimo comune denominatore deve essere dimostrato nella motivazione - si sofferma ad esaminare i fatti principali accertati in ognuna delle due sentenze (nn. 10-15), e soltanto dopo dichiara la conformità equivalente [70].

Rispetto alle condizioni della motivazione della decisione è utile ricordare l'art. 254 § 1 della DC: «La sentenza, senza eccedere in concisione o in prolissità, deve essere chiara nell'esposizione delle motivazioni sia in diritto che in fatto, ed essere fondata sugli atti e su quanto è stato dimostrato, in modo da far comprendere attraverso quale percorso logico i giudici siano giunti alla decisione, e in qual modo abbiano applicato la legge alle circostanze di fatto» [71].

5.3.    La certezza morale circa la giustizia della decisione precedente, il cui "nomen iuris" non viene formalmente confermato

Pertanto, il secondo tribunale dovrà non condividere la certezza morale del primo circa il capo di nullità che non conferma formalmente: nel caso l'avesse, si limiterebbe a confermare questa decisione in base allo stesso caput nullitatis, dando luogo alla conformità formale.

Ma, nello stesso tempo, il tribunale che dichiara la conformità equivalente deve avere la certezza morale che la decisione precedente è fondata su uno o più fatti principali sostanzialmente convergenti con quello o quelli che hanno motivato la sua in base ad un altro caput nullitatis [72]. Se il secondo tribunale non avesse questa certezza morale mancherebbe il punto di riferimento, la decisione con cui sarebbe equivalentemente conforme la seconda; e, quindi, la dichiarazione di tale conformità difetterebbe della rationabilitas e, di conseguenza, non sarebbe giusta [73]. Un esempio (vide supra § 3.2): un tribunale di secondo grado esamina una sentenza di primo grado che ha dichiarato la nullità del matrimonio per metus dell'uomo (ex can. 1103). Nel caso in cui il secondo tribunale ritenga che la natura delle pressioni subite dal fidanzato non sia stata determinante rispetto al consenso da lui prestato, non potrà confermare formalmente la prima sentenza. Ma se il giudice d'appello - dopo la richiesta ex can. 1683 (DC art. 268) di un nuovo capo per esclusione del bonum sacramenti (ex can. 1101 § 2) - riterrà essere provato che il fidanzato aveva deciso di sposarsi al fine di sottrarsi all'incomodo arrecatogli da queste pressioni, riservandosi positivamente di chiedere il divorzio più avanti, dovrà dichiarare la nullità del matrimonio in base a quest'ultimo motivo e, nello stesso tempo, potrà decretare la conformità equivalente della propria decisione con la prima. Mentre se, in caso contrario, il tribunale di seconda istanza riterrà provato che la riserva del divorzio non era stata dovuta al desiderio di evitare il suddetto incomodo, ma piuttosto al fatto che pochi giorni prima della celebrazione del matrimonio, quando tutto era già pronto per le nozze, il fidanzato aveva scoperto che la sua promessa sposa lo tradiva con un altro uomo, in questo secondo caso l'evidente mancanza della convergenza dei fatti principali (richiesta dall'art. 291 § 2 della DC e dalla seconda posizione giurisprudenziale e dottrinale), non permetterà la dichiarazione della conformità equivalente della seconda sentenza con la prima, benché entrambe abbiano dichiarato la nullità del matrimonio per un vizio del consenso imputabile al medesimo coniuge [74].

Perciò, è importante che il concetto di conformità equivalente dipenda più dalla onesta motivazione avanzata dal tribunale, nel rispetto dei requisiti esigiti dalla legge, piuttosto che dalla meccanica e formalista applicazione di alcuni criteri, a prescindere dal fatto che siano rigidi o indulgenti. Così, per esempio, il decreto coram Huber del 2003 nega giustamente la conformità equivalente tra la nullità del matrimonio dichiarata in prima istanza per l'esclusione del bonum prolis e quella affermata in seconda istanza per grave difetto di discrezione di giudizio ex can. 1095 n. 2 perché dimostra che il tribunale di appello aveva certezza morale circa la non convergenza dei due fatti principali [75].

Una delle ultime decisioni della Rota Romana che ho esaminato (coram Verginelli, 14 dicembre 2007) pare aderire alla "prima" posizione, poiché sembra accettare come unica causa di conformità equivalente «uno stesso fatto che ammette una diversa qualificazione giuridica», caratteristica della "prima" impostazione della giurisprudenza rotale [76]. Tuttavia può anche includersi tra la "seconda" posizione, perché distingue tra la più stretta conformità equivalente già presente nel sistema decretalista - che il provvedimento denomina "conformità sostanziale" e che coincide con la "prima" posizione giurisprudenziale (n. 10) - ed un'altra chiamata pure "conformità equivalente", che permette al secondo tribunale di non confermare la sentenza precedente e di dichiarare la nullità in base ad un altro capo fondato sugli stessi fatti principali (con una identità equivalente) [77], sempre che il secondo tribunale non sia moralmente certo della infondatezza della prima decisione dichiarativa della nullità del matrimonio [78].

5.4.    La precisione del decreto di formulazione dei dubbi, l'espressione "iam provisum in primo" e la conformità delle sentenze

D'altra parte, il rifiuto della conformità equivalente, deciso dal decreto coram Verginelli (n. 23), si capisce meglio, anche dal punto di vista della "seconda" posizione, considerando il contesto della complessa situazione della causa. In prima istanza la formula dei dubbi includeva tre capita nullitatis subordinati: 1) ex can. 1098 a causa del dolo esercitato dalla moglie parte convenuta, 2) ex can. 1097 § 2 (errore dell'attore circa una qualità directe et principaliter intenta) e 3) ex can. 1102 § 2 (condizione de praesenti, posta dall'attore e non verificata). La sentenza fu in favore della nullità del matrimonio in base al primo dei tre capi concordati (dolo della moglie), rispondendo agli altri due «iam provisum in primo».

La parte convenuta presentò appello alla Rota Romana, ed in seconda istanza questa dichiarò l'infondatezza di tutti e tre i capi d'accusa del matrimonio. Dopo l'ulteriore appello dell'attore, un turno di cinque giudici, in terza istanza, dichiarò nullo il matrimonio basandosi unicamente sul terzo dei capi concordati in prima istanza: per condizione de praesenti da parte dell'attore ex can. 1102 § 2. Allo stesso tempo, la sentenza decretava la conformità equivalente con la decisione di prima istanza e, quindi, la sua forza esecutiva (cfr. can. 1684 § 1; DC art. 301).

Senza un particolare esame in iure o in facto circa la conformità, benché la sentenza di terzo grado fosse molto estesa, la dichiarazione della conformità era stabilita direttamente nella parte dispositiva della sentenza, ed era motivata con la semplice affermazione che entrambe le sentenze si basavano sugli stessi fatti principali, benché considerati da prospettive diverse (come si ripete, la sentenza di prima istanza imputava la nullità del matrimonio al dolo della parte convenuta e quella di terza istanza alla condizione de praesenti posta dall'attore e non verificata) [79].

Dopo il rigetto della querela di nullità contro la decisione di terza istanza presentata dalla parte convenuta presso la Segnatura Apostolica, la causa fu di nuovo incardinata presso un turno di quarta istanza della Rota Romana (quello che ha dettato il decreto coram Verginelli, composto anch'esso da cinque giudici) che, preliminarmente, ha negato la conformità equivalente affermata dalla sentenza di terza istanza [80]. Tale negazione è stata giustificata condividendo soltanto l'impostazione della conformità equivalente ridotta alla pluralità normativa di nomina iuris rispetto ad uno stesso fatto principale, caratteristica della "prima" posizione. Ma nel contempo, come abbiamo visto, il decreto coram Verginelli ha attribuito un valore fondamentale al ragionamento logico che deve essere realizzato nella motivazione circa la conformità delle due sentenze, caratteristico della "seconda" posizione. Il decreto ha negato anche la conformità tra il caput nullitatis dichiarato nella seconda sentenza pro nullitate matrimonii (dettata in terza istanza, per condizione de praesenti da parte dell'attore) con la precedente decisione (di prima istanza) che aveva fatto riferimento al terzo caput nullitatis (errore dell'attore circa una qualità directe et principaliter intenta ex can. 1097 § 2) semplicemente con un «iam provisum in primo», come se si trattasse di un capo assorbito dal capo considerato provato in prima istanza (dolo della moglie, parte convenuta) (decreto, n. 17) [81]. Come è evidente, sebbene abbiamo incluso il decreto coram Verginelli nella "prima" posizione giurisprudenziale, il turno rotale ha negato la conformità equivalente usando anche i criteri tipici della "seconda" posizione.

6.       Conclusioni

Spetterà alla giurisprudenza della Rota Romana (forse attraverso una decisione videntibus omnibus) e della Segnatura Apostolica [82], e forse anche al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi [83], competenti in materia da posizioni diverse, il compito di affinare il concetto di conformità equivalente recepito dalla DC.

La prima posizione giurisprudenziale accetta quella conformità equivalente già accolta dall'ordinamento canonico fin dal sec. XIII. Tuttavia, la giurisprudenza della Rota Romana - dopo la restrizione di questo concetto intenzionalmente realizzata dall'art. 218 § 2 della PME - ha recuperato in primo luogo la conformità equivalente "classica", ma ha anche ampliato tale concetto ai casi in cui esiste una identità equivalente dei fatti principali, identità che deve essere giustificata nella motivazione della decisione che dichiara la conformità equivalente. Per questo motivo la seconda posizione giurisprudenziale sembra compatibile con la disposizione dell'art. 291 § 2 della DC.

Il tribunale che dichiara la conformità equivalente in questi casi non deve condividere la certezza morale riguardo al caput nullitatis deciso dal tribunale inferiore. Se la condividesse, si limiterebbe a ratificare quella sentenza con conformità formale. Tuttavia, deve avere certezza morale che la precedente decisione si è fondata su fatti convergenti con quelli che hanno motivato la sua in base ad un altro caput nullitatis. Senza tale convergenza tra i fatti principali mancherebbe il termine a quo della conformità equivalente.

L'espressione «super iisdem factis "matrimonium irritantibus"» introdotta nel quarto schema della DC (del giugno 2004) ed incorporata nell'art. 291 § 2 promulgato, esclude soltanto la terza posizione della giurisprudenza della Rota Romana, secondo la quale basterebbero due sentenze pro nullitate matrimonii imputabili allo stesso coniuge, senza bisogno dell'identità equivalente tra i fatti principali né dell'adeguata giustificazione della dichiarazione di conformità nella motivazione della decisione.

Le due prime impostazioni giurisprudenziali conservano l'obbligo della doppia sentenza "conforme" pro nullitate matrimonii e rispettano il concetto di certezza morale proposto da Pio XII e ricordato da Giovanni Paolo II e dalla DC [84]. Tuttavia, la prima mantiene nella pratica soltanto la conformità formale, facendo uso di un concetto molto restrittivo di conformità equivalente. Questo "passo indietro", rispetto alla giurisprudenza rotale che ritengo prevalente, implicherebbe la perdita di una possibilità efficace di snellire alcune cause di nullità del matrimonio. Tale "regressione" potrebbe essere facilmente interpretata - non senza una qualche ragione - da parte di non pochi Vescovi come un formalismo giuridicista, confermandoli nel loro convincimento della necessità di "amministrativizzare" le cause di nullità del matrimonio [85].

La preoccupazione, che condivido, di evitare un uso inadeguato della conformità equivalente, non mi sembra un motivo sufficiente per applicare l'art. 291 § 2 della DC nel modo suggerito dall'interpretazione più restrittiva della norma. Ciò implicherebbe, nella pratica, svuotare di contenuto un istituto che, se applicato con onestà e competenza da parte dei tribunali, manifesta armonicamente la serietà con cui la Chiesa protegge l'indissolubilità del matrimonio garantendo, contemporaneamente, con le parole di Benedetto XVI nel suo primo Discorso alla Rota Romana, «l'oggettività, la tempestività e l'efficacia delle decisioni dei giudici», perché «la verità cercata nei processi di nullità matrimoniale non è tuttavia una verità astratta, avulsa dal bene delle persone. È una verità che si integra nell'itinerario umano e cristiano di ogni fedele. È pertanto assai importante che la sua dichiarazione arrivi in tempi ragionevoli. La Provvidenza divina sa certo trarre il bene dal male, anche quando le istituzioni ecclesiastiche trascurassero il loro dovere o commettessero degli errori. Ma è un obbligo grave quello di rendere l'operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli» [86].



[1]           G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 687-688.

[2]           Schema Recognitum 2000 art. 291 § 2: «nullitas vero matrimonii super iisdem factis et probatis nitatur». DC art. 291 § 2: «decisiones (...) tamen super iisdem factis matrimonium irritantibus et probationibus nitantur». Cfr. G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 693-695.

             Come abbiamo segnalato (vide supra nota 8), tra lo schema del 2000 e lo schema del 2004 (uguale al testo promulgato) c'è stato un altro progetto, il Novissimum Schema del 2002, in cui non si affrontava il tema della conformità equivalente perché, nella pratica, lo scopo di questo istituto era stato ampiamente superato. Ed infatti questo schema del 2002 (analogamente alle Norme processuali per le cause di nullità del matrimonio vigenti negli USA dal 1970 al 1983: Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, Novus modus procedendi in causis nullitatis matrimonii approbatur pro Statibus Foederatis Americae Septentrionalis, 28 aprile 1970, n. 23 § 2, in I. Gordon - Z. Grocholewski, Documenta recentiora circa rem matrimonialem et processualem, vol. 1, Romae 1977, nn. 1380-1428) abrogava nella stragrande maggioranza dei casi la necessità della doppia sentenza conforme affinché la decisione in favore della nullità del matrimonio sia resa esecutiva (art. 43 § 2). D'altra parte, il Novissimum Schema 2002 ammetteva il più ampio concetto di conformità equivalente, nell'eventualità che ci fosse un appello contro la prima sentenza pro nullitate matrimonii, lasciando la dichiarazione circa la conformità alla discrezionalità totale del tribunale che dettava la seconda decisione pro nullitate matrimonii: «Appellationis tribunalis est de duplicis iudicati conformitate decernere» (art. 44).

[3]           Vide supra nota 7.

[4]           Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 486.

[5]           «Agi (...) debet de factis "iuridicis", factis nempe quae matrimonium in concreto invalidum reddere valent» (coram Pinto Gómez, sentenza, 6 maggio 1974, n. 2, in SRRD 66 (1974) 341). In dottrina, cfr. G. Maragnoli, La formula del dubbio, cit., 104-107.

[6]           Cfr. coram Erlebach, decreto, 14 dicembre 2006, cit. n. 6; G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 504-508.

[7]           «De conformitate, sive formali sive aequipollenti seu substantiali, inter duas sententias quae utraque in eodem sensu "admittunt vel excludunt nullitatem matrimonii", etiamsi ex diverso accusato et deciso capite nullitatis» (coram Boccafola, decreto, 23 febbraio 2006, Reg. Latii seu Praenestina, Nullitatis matrinonii; prael. de conformitate sententiarum, n. 5, in Ius Ecclesiae 20 (2008) 541). Cfr. G.P. Montini, Alcune questioni processuali intorno alla decretazione di conformità equivalente, cit., 489-490; G. Varricchio, Problemi interpretativi ed applicativi della "conformità equivalente", cit., 648, 650.

[8]           Sulla convenienza dell'uso dell'espressione conformità "equivalente" invece di "sostanziale", cfr. J. Llobell, La conformidad equivalente de dos decisiones, cit., 235-240.

[9]           Vide supra nota 41.

[10]         «Si de capitibus diversis agatur, quae iuridice eandem causam petendi non constituunt, de sententiarum conformitate sermo fieri nequit (...). Aliter tamen res se habent, quoties agitur de facto principali quod duplicem qualificationem iuridicam seu nomen iuris consequi valet» (decreto coram Stankiewicz, Reg. Aprutini seu Teramen., 22 marzo 1994, cit., nn. 10-11).

[11]         Vide supra nota 7.

[12]         Coram Pinto Gómez, decreto, 17 marzo 1971, in Verità e definitività della sentenza canonica, cit., 159-162; coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., Nullitatis matrimonii; Praeiud.: de conformitate sententiarum, B. Bis 68/03 (cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 488 nota 18). Riguardo a questo decreto coram Huber, vide infra note 116-127.

[13]         «Quod idem factum sub diversis normis cadere valeat» (coram Verginelli (coram quinque iudicibus), decreto, 14 dicembre 2007, n. 11, Int. Beneventani seu Cerretana-Thelesina-Sanctae Agathae Gothorum, Nullitatis matrimonii; Prael.: de iure recurrendi et de conformitate sententiarum, in B. Bis 153/07). Riguardo a questo decreto coram Verginelli, vide infra notas 127-132.

[14]         Cfr. decreto coram Stankiewicz, 22 marzo 1994, cit., n. 11; A. Stankiewicz, La conformità delle sentenze nella giurisprudenza, cit., 160-162; G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 488-490.

[15]         Cfr. decreto coram Stankiewicz, 22 marzo 1994, cit., n. 11; A. Stankiewicz, La conformità delle sentenze nella giurisprudenza, cit., 162-164; G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 489 nota 24. La valutazione delle conseguenze dell'ammettere la conformità equivalente in questo ultimo caso verrà fatta nel momento in cui esporrò le ragioni che mi portano a considerare legittima la "seconda" posizione giurisprudenziale: §§ 4-6.

[16]         Cfr. decreto coram Stankiewicz, 22 marzo 1994, cit., n. 11; G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 489-490.

[17]         «Problema consistit in scientia, quodnam sit factum iuridicum» (coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., cit., n. 5). Per una diversa valutazione di questo decreto, vide infra note 116-127.

[18]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 490-492.

[19]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 490 nota 28. Erlebach rinvia a J. Llobell, Il concetto di «conformitas sententiarum», cit., 202. Su questo punto, vide infra §§ 4-6, in particolare § 5.3.

[20]         Vide supra nota 9.

[21]         Cfr. A. Stankiewicz, La conformità delle sentenze, cit., 165.

[22]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 493-494 nota 39.

[23]         Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2002, n. 7, in AAS 94 (2002) 340-346; Id., Discorso alla Rota Romana, 29 gennaio 2004, passim, in AAS 96 (2004) 348-352.

[24]         Erlebach reputa significativa l'indicazione «in agrum consensus» di una decisione emblematica di questa terza posizione giurisprudenziale: «conformitatem sententiarum incunctanter declarari posse si duae decisiones, in agrum consensus vertentes, super iisdem factis et probationibus nitantur» (coram Bruno, decreto, 24 febbraio 1989, n. 6, in RRDecr. 7 (1989) 32). Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 494 nota 40.

[25]         Su alcune precisazioni circa l'abuso del "personalismo" e dello pseudo "pastoralismo", cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 27 gennaio 1997, passim, in AAS 89 (1997) 486-489. Sull'identificazione pseudo pastoralistica tra fallimento e nullità, cfr. per tutti, Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 27 gennaio 2007, in AAS 99 (2007) 86-91, e il recente di 29 gennaio 2009.

[26]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 494 nota 43.

[27]         Vide infra § 5.3. Cfr. can. 1452 e DC art. 71.

[28]         «Ad habendam conformitatem sententiarum sufficit ut causa petendi, a iudicibus admissa et perpensa, in iisdem factis fundetur et tantum diversa via probationis fulciatur, cum idem matrimonium ex defectu consensus nullum declaretur» (coram Bruno, decreto, 24 febbraio 1989, n. 4, in RRDecr. 7 (1989) 31). Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 494-495 nota 45.

[29]         Erlebach segnala questa difficoltà, per es., con il decreto coram Boccafola, 23 febbraio 2006, cit. (cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 493-494 nota 39).

[30]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 494 note 42 e 43. Vide supra note 77 e 78.

[31]         Vide supra § 2.3. Cfr. S. Villeggiante, La conformità equivalente, cit., 195-203.

[32]         «Causa petendi latius patet quam caput nullitatis» (coram Raad, decreto, 23 giugno 1973, n. 7, in Verità e definitività della sentenza canonica, cit., 165).

[33]         Vide supra note 43 e 46. Cfr. F. Pappadia, Alcune note in tema di sviluppi storici dell'istituto della conformità, cit.

[34]         «Pertanto, (...) dovremmo trarre la seguente conclusione: ai fini della conformità delle sentenze occorre che ci sia lo stesso fatto giuridico e lo stesso capo di nullità. Invece la via giurisprudenziale che si basa sulla richiesta della sola identità del fatto giuridico, limita di per sé le richieste normative stabilite al can. 1641 n. 1, sacrificando cioè l'identità del capo di nullità. Quest'ultima osservazione non vuole essere una nota critica, ma solo una constatazione del fatto» (G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 497).

[35]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 497.

[36]         Vide supra nota 54.

[37]         In cui già faceva accenno all'esistenza di tribunali che decidevano le cause di nullità del matrimonio in modo permissivo, come fu tenuto presente nella stesura del vigente can. 1488 § 2, ora ammorbidito dall'art. 110 n. 4 della DC: «Dobbiamo, pertanto, registrare con dolore la tendenza a strumentalizzare certe concessioni, motivate da situazioni ben circoscritte, per giungere ad una pratica evasione della legge processuale canonica, alla quale si è tenuti, e ciò spesso mediante l'artificiosa creazione di domicili o dimore stabili fittizi. Parimenti, è da riprovare la tendenza a creare una giurisprudenza non conforme alla retta dottrina, quale è proposta dal Magistero ecclesiastico ed è illustrata dalla Giurisprudenza canonica» (Paolo VI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 1978, in AAS 70 (1978) 183).

[38]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 498 nota 55.

[39]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 498-499.

[40]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 499.

[41]         «Il paragrafo primo dell'art. 291 ha carattere esclusivamente nominale, ossia è previsto al solo fine di introdurre il paragrafo secondo (e terzo), ossia la conformità equivalente. Ha un carattere che si potrebbe definire propedeutico; non ha effettivo vigore. Ha il compito di rendere plausibile e intelligibile la conformità equivalente. L'invenzione della conformità "formale" è un espediente dialettico per collocare meglio dal punto di vista sistematico la conformità "equivalente", che, in caso contrario, sarebbe apparsa l'unica "species" del "genus" conformità» (G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 688).

[42]         La seconda impostazione direbbe: due fatti principali parzialmente diversi ma convergenti.

[43]         Cfr. G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 689-690. Vide supra nota 84.

[44]         Cfr. DC artt. 250 n. 1, 253 §§ 2 e 3, 289 § 3.

[45]         Montini cita frequentemente diversi studi di García Faílde per fare riferimento ad aspetti problematici della DC e alla loro soluzione, come in questo caso (cfr. G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 690-697). Cfr. J.J. García Faílde, La instrucción "Dignitas Connubii" a examen (Testo spagnolo e commento dei suoi articoli), Salamanca 2006, 262-265; Id., Análise da Instrução "Dignitas Connubii", in Forum canonicum 1 (2006) 75-77; Id., Tratado de Derecho Procesal Canónico: Comentario al Código de Derecho Canónico vigente y a la Instrucción "Dignitas connubii", ed. 2, Salamanca 2007, 460-464.

[46]         La conformità equivalente è una situazione oggettiva di due decisioni, indipendente dalla posizione delle parti (cfr. C.M. Morán Bustos, La cuestión de la conformidad, cit., 556). Perciò, il concetto di conformità equivalente non può essere ampliato per il fatto che entrambi i coniugi siano litisconsorti attivi, come suggerito da Moneta (cfr. P. Moneta, La procedura consensuale nelle cause di nullità di matrimonio canonico, in www.olir.it, maggio 2005, 8-9).

[47]         «Si riferiscono invece ai fatti "in quanto rappresentati nella decisione giudiziale, assunti e valutati dalla decisione giudiziale". (...) Conclusivamente si può affermare che la conformità equivalente che l'art. 291 § 2 ammette nelle cause di nullità matrimoniale si dà tra pronunce giudiziali "ogni volta che nelle motivazioni delle due pronunce si trovano legittimamente discussi e provati tutti e singoli gli elementi di fatto dello schema di prova di un capo di nullità", quali che siano i capi di nullità formalmente concordati e decisi» (G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 694 e 697).

[48]         Cfr. C.M. Morán Bustos, La cuestión de la conformidad, cit., 554-556.

[49]         Cfr. G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 697.

[50]         «Substantia ... sententiae non solum ex nudis partis dispositivae verbis eruenda est, sed etiam ex substantia partis motivae, quae dispositivam cum induxerit, eandem complet, perficit et absolvit. Quo fit ut iudicatum, in quo duae vel plures sententiae inveniantur conformes, efficiatur et parte dispositiva sententiae et motivis disponendi in sua substantia consideratis, quae sint eiusdem partis dispositivae praesuppositum necessarium et logicum. Neque aliter dixeris, si Iudex tenetur suam dare sententiam non pro arbitrio sed ob adamussim perpensas iuris factique rationes, et ideo sententia, non minus quam lex, non nudis tantum verbis sed ipsa quoque ratione constat eam ferentis. (...) nemo tamen est quin videat quantum inter se differant utriusque sententiae partes motivae seu adductae separationis causae (...). Sententiae ergo latae sunt non super "eodem" sed super "diversis articulis" (cfr. Glossa, in Clem. De calumniis 1, De Sent. et re iudicata II, 11, v. Tres): non sunt ergo conformes: ideo suppetit adversus sententiam Rotalem commune appellationis remedium» (coram Felici, sentenza, 5 agosto 1950, Matriten., Separationis coniugalis, nn. 2 e 4, in SRRD 42 (1950) 542 e 544).

             La reazione a questa impostazione si ebbe qualche anno dopo: «Ut duae sententiae sint conformes sufficit ut eadem sit pars dispositiva. Non requiritur ut eadem sint argumenta quibus pars dispositiva innititur» (coram Pasquazi, sentenza, 17 marzo 1957, in SRRD 49 (1957) 202).

[51]         G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 695.

[52]         G.P. Montini, La richiesta di nuovo esame, cit., 697.

[53]         Vide supra nota 9. Erlebach, come abbiamo ampiamente illustrato, accetta pienamente la posizione di Stankiewicz e la precisa in modo intelligente (vide supra § 3).

[54]         Cfr. A. Stankiewicz, La conformità delle sentenze nella giurisprudenza, cit., 163-164.

[55]         Oltre alle posizioni sostenute da Stankiewicz e Erlebach negli studi citati (vide supra nota 7), occorre segnalare C.M. Morán Bustos, La cuestión de la conformidad, cit., 549-557; S. Villeggiante, La conformità equivalente, cit., passim e 260-263. Riguardo a Montini (in La richiesta di nuovo esame, cit., passim), vide supra nota 104.

[56]         «Attenta hac factorum juridicorum identitate aequivalenti». «Cum eisdem factis et probationibus nitantur, ex quibus rite concludebatur in utraque sententia ad matrimonii, in casu, nullitatem, ita ut adsit tantum diversitas quoad normam juridicam invocatam seu quoad merum nomen juris, quod ceteroquin uti connexum habetur. Adest, proinde, aequivalenter eadem causa petendi, in casu, juxta vigentem praxim Curiae» (coram Anné, decreto, 13 febbraio 1974, Collen. seu Florentina, Nullitatis Matrimonii, in B. Bis 14/1974, in Verità e definitività della sentenza canonica, cit., 180).

[57]         «Solummodo autem in Congressu decerni possunt concessio dispensationis a duplici decisione conformi in causis nullitatis matrimonii ...» (Lex propria Signaturae 2008, cit., art. 115 § 2).

             «Judices prudenter hac in re procedant oportet, ne, notionem conformitatis nimis late interpretantes, ulterius procedant irrumpentes in Pontificiam potestatem dispensandi super duplici sententia conformi, uti si duae sententiae declararentur conformes, dum, in rei veritate, facta ab utraque sententia considerata - in se - eadem quidem sint, sed non qualitate qua juridica sint atque ideo aequivalenter dici nequeant conformes (cfr. decr. diei 17 martii 1971 c. Pinto)» (coram Anné, decreto, 13 febbraio 1974, cit., 177). Per il decreto coram Pinto Gómez, vide supra nota 64.

             L'argomento che la dispensa dall'obbligo della doppia sentenza conforme era competenza esclusiva del Romano Pontefice fu utilizzato in modo polemico da una sentenza coram Pinna (il quale negava assolutamente la possibilità della conformità equivalente) davanti alla proposta di Flatten di dichiarare la conformità equivalente (cfr. H. Flatten, De sententia nullitatis matrimonii tum e capite metus tum e capite simulationis ferenda, in Revue de Droit Canonique 13 (1963) 53; coram Pinna, sentenza, Romana, 5 ottobre 1963, n. 4, in SRRD 55 (1963) 665). Recentemente, cfr. G.P. Montini, La prassi delle dispense da leggi processuali del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (art. 124, n. 2, 2ª parte, Cost. ap. Pastor bonus), in Periodica 94 (2005) 43-117; M.F. Pompedda, Verità e giustizia nella doppia sentenza conforme, in La doppia conforme nel processo matrimoniale, cit., 11-12.

[58]         Vide supra nota 108.

[59]         Per esempio, un turno rotale riceve una causa in quarta istanza ex can. 1682 § 1 (DC art. 264). Prima di decidere se confermare ex can. 1682 § 2 (DC art. 265) la sentenza rotale di terza istanza o rinviare la causa al processo ordinario, esaminando preliminarmente l'eventuale conformità equivalente tra le sentenze di secondo e di terzo grado, stabilisce che si tratta di una conformità formale sulla base della motivazione della sentenza di seconda istanza, conformità che avrebbe dovuto essere dichiarata dal turno a quo (cfr. coram Defilippi, decreto, 6 dicembre 2007, Sancti Sebastiani Fluminis Ianuarii, Nullitatis matrimonii; Prael.: de conformitate sententiarum, B. Bis 143/07).

[60]         Vide supra nota 48.

[61]         Cfr. P. Bianchi, Quale futuro per la doppia sentenza conforme?, in La doppia conforme nel processo matrimoniale, cit., 167-182; P.A. Bonnet, Il principio della duplice decisione giudiziaria conforme ed il suo fondamento, in ibidem, 71-104; M. Canonico, Note di commento all'Istruzione «Dignitas connubii», cit., 74-78; R. Coppola, La conservazione del principio della doppia sentenza conforme nel processo matrimoniale: una prospettiva da non sottovalutare, in La doppia conforme nel processo matrimoniale, cit., 193-203; J.J. García Faílde, La instrucción "Dignitas Connubii" a examen, cit.; Id., Análise da Instrução "Dignitas Connubii", cit.; Id., Tratado de Derecho Procesal Canónico, ed. 2, cit.; N. Schöch, Il principio della duplice conformità delle sentenze nella giurisprudenza rotale, cit., passim; Id., Festlegung, Änderung und Konformität von Klagegründen im kanonischen Eheprozess, Peter Lang 2003; Id., Criterios para la declaración de la conformidad equivalente, cit., passim; G. Maragnoli, Alcune note su: cumulo di capi di domanda, "assorbimento" di un capo in un altro e concordanza del dubbio nel secondo grado di giudizio delle cause di nullità del matrimonio, in Ius Ecclesiae 19 (2007) 200-201; G. Varricchio, Problemi interpretativi ed applicativi della "conformità equivalente", cit., passim (benché ritenga che la DC permetta soltanto la "prima" posizione, considera che debba essere accolta anche la "seconda"); H.A. von Ustinov, ¿Grave defecto de discreción de juicio o exclusión del matrimonio? Consideraciones acerca de los procesos de nulidad matrimonial, in El matrimonio y su expresión canónica ante el III milenio. X Congreso Internacional de Derecho Canónico, Pamplona 2001, 909-916.

             Sono sostenitori della "terza" posizione dottrinale: S. Gherro, Doppia conforme e potestà episcopale, in La doppia conforme nel processo matrimoniale, cit., 57-69; P. Moneta, Il riesame obbligatorio delle sentenze di nullità di matrimonio: una regola da abolire?, in Il Diritto Ecclesiastico 111/1 (2000) 1068-1083; Id., Che futuro per la doppia sentenza conforme?, in La doppia conforme nel processo matrimoniale, cit., 183-192; Id., La determinazione della formula del dubbio e la conformità della sentenza nell'istr. «Dignitas connubii», in Ius Ecclesiae 18 (2006) 417-438; M.F. Pompedda, Verità e giustizia nella doppia sentenza conforme, cit., 7-18; J.Mª Serrano Ruiz, La determinación del capítulo de nulidad de matrimonio en la disciplina canónica vigente, in El «consortium totius vitae», Salamanca 1986, 347-377.

[62]         Sulle molteplici combinazioni di capita nullitatis dichiarati conformi, vide supra nota 48.

[63]         Cfr. G.P. Montini, Alcune questioni processuali intorno alla decretazione di conformità equivalente, cit., 532-533.

[64]         Cfr. coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., cit. Vide supra note 64 e 69. Cfr. A. Mendonça, Equivalent conformity of sentences in a marriage nullity process: a case study, in Studia Canonica 38 (2004) 329-344.

[65]         Cfr. G. Varricchio, Problemi interpretativi ed applicativi della "conformità equivalente", cit., 647, nota 37.

[66]         «Quae cum ita sint, cum in utraque sententia de eodem facto immaturitatis agatur, quod in prima instantia sub respectu simulationis, in altera vero sub respectu defectus discretionis iudicii consideratum est, inter sententiam Pictaviensem... et illam Burdigaliensem... substantialis seu aequivalens conformitas admitti potest» (decreto coram Stankiewicz, 26 febbraio 1987, n. 12, in RRDecr. 5 (1987) 40).

[67]         «Non est intentio Nostri Fori consolidatam iurisprudentiam improbare vel ab ea discedere. Problema consistit in scientia, quodnam sit factum iuridicum. Ut supra dictum est, factum iuridicum non necessario cum capite nullitatis coincidit. Factum iuridicum est factum, in quo nullitas matrimonii fundatur et quod ad eandam conclusionem ducit, etsi sub diverso capite nullitatis. Factispecie casus de quo ob oculos habita, quaerendum est, num eadem facta sive ad exclusionem boni prolis sive ad gravem defectum discretionis iudicii in utraque parte ducere possunt. Non est confitendum adesse decisiones Rotales, in quibus conformitas aequivalens sententiarum inter simulationem partialem et "incapacitatem [...] praestandi deliberatum consensum" (coram De Jorio, decisio diei 19 iulii 1967, RRDec., vol. LIX, p. 612), inter simulationem totalem et defectum discretionis iudicii (cf. coram Serrano Ruiz, decretum diei 24 octobris 1986, n.15, in Aa.Vv., Verità e definitività, p. 209)» (coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., cit., n. 5).

[68]         «Semper tamen verum manet: "Conformes e contra non sunt duae sententiae nullitatis, quarum una negat facta iuridica ab altera admissa [...]" (coram Pinto [Gómez], decisio diei 6 maii 1974. ibid., vol. LXVI, p. 341, n. 2)» (coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., cit., n. 5).

[69]         Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 508-509.

[70]         «Certo certius respectivi Iudices sub diversis iuris nominibus facta causae interpretati sunt atque exinde eorum sententias elucubraverunt, attamen argumentatio uniuscuiusque sententiae in fine ex eadem radice derivatur» (coram Boccafola, decreto, 23 febbraio 2006, cit., n. 9, 543). Cfr. G. Erlebach, Problemi di applicazione della conformità sostanziale, cit., 493-494 nota 39).

[71]         Cfr. J. Llobell, Historia de la motivación de la sentencia canónica, Zaragoza 1985; Id., Sentenza: decisione e motivazione, in Il processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano 1988, 722-734.

[72]         Senza questa coerenza si verificherebbe di fatto la contraddizione che Morán attribuisce alla "seconda" posizione (cfr. C.M. Morán Bustos, La cuestión de la conformidad, cit., 554).

[73]         Si tratterebbe di una decisione che potrebbe essere chiamata "sentenza suicida" (cfr. P. Calamandrei, La crisi della motivazione, in Processo e democrazia, Padova 1954, 112 e 116).

[74]         Cfr. J. Llobell, Il concetto di «conformitas sententiarum», cit., 220.

[75]         Cfr. coram Huber, decreto, 25 giugno 2003, Detroiten., cit., n. 8. In un'altra causa con la ponenza di Huber sono stati considerati convergenti i capita nullitatis della condizione di futuro ex can. 1102 § 1 e della esclusione dell'indissolubilità ex can. 1101 § 2, sicché sarebbe possibile la conformità equivalente tra le sentenze che dichiarano la nullità, ognuna in base a uno solo dei due capita nullitatis, essendo la condizione "assorbente" dell'esclusione dell'indissolubilità: «... duo capita accusata connectuntur. (...) "Affirmative" ad primum, seu constare de nullitate matrimonii ob condicionem de futuro a viro actore appositam; ad alterum: iam provisum in primo» (coram Huber, sentenza, 23 giugno 2004, Reg. Siculi seu Messanen.-Liparen.-Sanctae Luciae, Nullitatis matrimonii, Sent. 79/04, nn. 17-18, in Ius Ecclesiae 20 (2008) 101).

[76]         Vide supra nota 65. «Quod idem factum sub diversis normis cadere valeat» (coram Verginelli, decreto, 14 dicembre 2007, cit., n. 11).

[77]         «Alioquin aequivalens aut aequivalenter: "Aliquid est cum habeatur pondus vel momentum aequale sub adspectu substantiali" qua de re "Aequivalenter conformes sunt duae sententiae, quae, licet matrimonii nullitatem ex diverso capite admittant, concordant tamen in agnoscendis iisdem factis iuridicis quibus comprobatur caput ab alterutra sententia non admissum". Agi tamen debet de factis iuridicis, factis nempe quae matrimonium in concreto invalidum reddere valent, quin sufficiat concordantia circa facta simplicia» (coram Verginelli, decreto, 14 dicembre 2007, cit., n. 11).

[78]         «In aequivalenti conformitate declaranda sententiarum (...) requiritur quaedam logica concursio seu congruentia ratione capitum incusatorum per aliquam mutuam expletionem, quidem sub adspectu iuridico. (...) Maxime impotens est aequipollens vel aequalis conformitas sententiarum quando agitur de dolo non directo erga aliquam qualitatem et de condicione quae non necessario requirit aliquam qualitatem cum eidem aliqua circumstantia vel factum tantum sufficiant» (coram Verginelli, decreto, 14 dicembre 2007, cit., nn. 12 e 13).

[79]         «"Affirmative", seu constare de matrimonii nullitate, in casu, dumtaxat ex capite conditionis a viro adpositae sed non impletae. Hanc sententiam infrascripti declarant aequivalenter conformem cum decisione affirmativa primi gradus ideoque exsecutivam quoniam prima et altera decisio iisdem innititur factis iuridicis etsi diversa sub luce conspectis» (coram Turnaturi (coram quinque), sentenza, 22 novembre 2002, Int. Beneventani seu Cerretana-Thelesina-Sanctae Agathae Gothorum, Nullitatis matrimonii; Prael.: Turni competentiae, Sent. 118/02, n. 74). Cfr. ibidem: nn. 2-4.

[80]         Cfr. coram Verginelli, decreto, 14 dicembre 2007, cit., n. 23.

[81]         Maragnoli analizza con eccezionale chiarezza e coerenza il modo in cui viene espressa la formula dei dubbi nei "capita nullitatis" singolari ma complessi rispetto alla determinazione dell'unico nomen iuris (per es., la specificazione della qualità nell'errore circa una qualità del coniuge directe et principaliter intenta ex can. 1097 § 2) e negli altri casi in cui i fatti principali sono suscettibili di una molteplicità di "nomina iuris" (compatibili, incompatibili, assorbenti, continenti, subordinati, ecc.). Maragnoli esamina con la stessa lucidità i problemi che pone l'appello di quelle sentenze che, quando la formula dei dubbi prevede una molteplicità di capita nullitatis, si pronunciano soltanto su uno di questi capi risolvendo gli altri con la formula «iam provisum in primo» o altre equivalenti (cfr. G. Maragnoli, La funzione e i poteri del giudice istruttore nel processo canonico di nullità del matrimonio, in H. Franceschi - J. Llobell - M.Á. Ortiz (a cura di), La nullità del matrimonio: temi processuali e sostantivi in occasione della «Dignitas Connubii», cit., 83-143; Id., Alcune note su: cumulo di capi di domanda, "assorbimento" di un capo, cit., 191-201; Id., La formula del dubbio (artt. 135-137), cit., 109-111 e 113-115). Vide supra nota 52.

[82]         Vide supra nota 13.

[83]         Cfr. i discorsi del Santo Padre, del Cardinale Segretario di Stato e del Presidente del PCTL pubblicati in Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, La legge canonica nella vita della Chiesa. Indagine e prospettive nel segno del  recente magistero pontificio (Atti del Convegno di studio tenutosi nel XXV anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, 24-25 gennaio 2008), Città del Vaticano 2008.

[84]         Cfr. Pio XII, Discorso alla Rota Romana, 1º ottobre 1942, passim, in AAS 34 (1942) 338-343; Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 4 febbraio 1980, passim, in AAS 72 (1980) 172-178; DC art. 247.

[85]         Vide supra nota 25.

[86]         Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2006, in AAS 98 (2006) 136 e 138.